Erano anni e anni che non mi ammalavo. E non uno di quei
raffreddori o malesseri passeggeri che talvolta capitano, ma una di quelle
belle influenze che ti costringono a dichiarare forfait, a deporre le armi ed
infilarti sotto le coperte rantolante. Un’immagine sexy quanto un bradipo
asmatico.
Considerando che è stato il primo giorno di malattia i tanti
anni lavorativi, potrei quasi supporre che sia un segno del destino. Ora leggo
i fondi dell’antibiotico così magari capisco che significa.
Ricordo che quando ero piccola ammalarsi era bellissimo.
Sarà che anche allora capitava di rado, ma era il momento per essere al centro
di ogni attenzione. Coccole in abbondanza, squisitezze a profusione e tanti
vizi. Mamma arrivava sempre con un dono, quasi a volersi far perdonare per aver
permesso che io potessi non star bene Un peluche o più spesso un libro apparivano a
consolarmi. Al caldo sotto le coperte vedevo le ore scivolare attraverso la
finestra, guardando la tv o leggendo senza nessuna fretta, tra una spremuta ed
un the caldo. Tanto tempo fa.
Oggi eravamo io e la gatta, a cui non è parso vero questo
mio presenzialismo. Le persone a cui voglio bene, stupite da questa debacle
dell’inossidabile, mi hanno coccolata con messaggi e telefonate. Come sempre c’è
chi brilla per la propria assenza, ma non mi stupisco più.
Temevo solo che le tante ore a tu per tu con me stessa
producessero troppi pensieri, non è accaduto. Il che può significare solo due
cose: o penso già troppo di solito o i miei ultimi due neuroni, Amilcare ed
Adalgisa, si sono ammalati pure loro.
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