Credo di essere nata, vissuta e cresciuta, single. Ho avuto fidanzati, amori,
amanti, trombamici, amici ma, trascorsi i primi anni dell’adolescenza – quando ancora
credevo nel Mulino Bianco – sono arrivata alla conclusione che prima di tutto ci sono
io. Se non sto bene con me stessa, è banale, difficilmente posso stare bene con qualcun'altro. E’ stato un percorso spesso faticoso e accidentato, lo è ancora oggi
talvolta. L’equilibrio è difficile da raggiungere e soprattutto, se è reale, è
sospeso tra momenti di profondo disequilibrio, di domande, di riflessioni a
volte dolorose. Sono da sempre convinta che la felicità non può dipendere da
qualcuno, dalla sua presenza o assenza nella mia vita. Esistono delle persone
con cui condividere, fare un tratto di strada insieme, ma non ci si può
aggrappare l’uno all’altro, anche quando è dura ci va la forza di
ritornare a camminare con le proprie gambe il più presto possibile. Il
piacere che mi può dare avere qualcuno accanto non è nel sostegno in un momento
di difficoltà, bensì nello specchiarmi nei suoi occhi mantenendo la mia
identità.
Quando
facevo questi discorsi a vent’anni mi prendevano per pazza, mi dicevano che
dicevo così solo perché ero giovane, che l’orologio biologico mi avrebbe fatto
cambiare idea. Non è vero, la penso sempre nel medesimo modo. Anzi, con il
passare degli anni, alcune convinzioni sono sempre più lucide e radicate in
profondità. E se talvolta il prezzo della singletudine è un po' di solitudine, quando sto con qualcuno è una scelta di gioia, di profonda condivisione di felicità. La vita è troppo breve per non cercare di essere felici.
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